Arte e riciclaggio tutti i casi

Arte e riciclaggio tutti i casi. La normativa antiriciclaggio è intervenuta nel mondo della compravendita di quadri ed opere d’arte, in particolare con il Dlgs. n. 90/2017 che , modificando il Titolo I del D.Lgs. n. 231/2007, estende gli adempimenti specifici in materia anche in capo ai soggetti che commerciano beni antichi o che svolgono attività presso case d’asta o gallerie d’arte. Per arginare anche il fenomeno crescente dell’utilizzo dei porti franchi è intervenuto il Dlgs. n. 125/2019 che, in attuazione alla V direttiva antiriciclaggio, ha ulteriormente esteso il profilo soggettivo in ordine agli obblighi in materia di antiriciclaggio, inserendo nel nuovo testo dell’art. 3 comma 5 lettera b) del Dlgs 231/2007  anche i commercianti e gli intermediari che operano nel Mondo dell’arte. Un recente studio di Deloitte stima che nel Mondo ci siano tra i 4 e i 6 miliardi di dollari di arte rubata. Facile intuire che molta di questa possa essere strumento per condotte di riciclaggio. Numeri enormi ai quali vanno aggiunti quelli generati dall’avvento della criptoarte – per approfondire leggi qui – fenomeno in crescita esponenziale. Prendendo spunto da un tema più che mai caldo, in questo articolo lo affrontiamo attraverso il racconto di “sentenze tipo”, tante sfaccettature del pianeta riciclaggio in relazione all’arte.

Bancarotta e opere d’arte

La prima sentenza che andiamo a vedere è legata all’attività sospetta di un imprenditore. Imprenditore che ha utilizzato denaro proveniente da bancarotta per l’acquisto di opere d’arte di ingente valore. Acquisto con il quale si va a delineare un’attività finalizzata alla conversione di denaro di illecita provenienza in beni di altro genere. Nello specifico, sono emerse una serie di anomalie (red flags) quale il valore dell’operazione, stimata per 16 Milioni di euro e compiuta in periodo di tempo esiguo e con modalità, acquisto per stock, considerata non consueta in relazione alla tipologia di beni; infine, la remunerazione ingente conseguita. L’epilogo della vicenda ha visto il mercante assolto dalla corte d’appello, l’imprenditore condannato dalla stessa corte. Condanna poi confermata dalla cassazione: Cass.n.7241/2000.

Gallerie “distratte”

Il caso più noto riguarda il bronzo “Jean d’Aire” di Rodin e il “Portrait de la femme au chien” di Marie Laurencin rilevato dalla Cassazione francese: 04-81.962/2005. Le opere in questione erano state rubate e subito vendute tramite un intermediario a una galleria di Parigi. Galleria che nello stesso mese aveva rivenduto il bronzo a un art dealer e il dipinto ad un’altra galleria. Galleria che a sua volta dopo soltanto un mese aveva riacquistato la metà del bronzo dalla sua venditrice. In realtà la vicenda si articolerebbe ulteriormente con un giro contorto di compra-vendite. Ad una delle due opere – quella di Marie Laurencin – era stato addirittura cambiato il nome rispetto all’originale registrato in catalogo. La pratica di cambiare il nome dell’opera, spesso utilizzando quello della dedica sul retro, è molto diffusa per riciclare denaro facendo circolare l’opera stessa sotto uno pseudo-anonimato. La Corte ha poi evidenziato come la “velocità” di acquisto e rivendita dell’opera fosse a dir poco anomalo.  Tale dinamica è ulteriormente intorbidita dal fatto che alla base è mancata totalmente la verifica dell’origine dei beni.

Questo caso limite ci racconta di come i presidi di controllo siano davvero fondamentali per mitigare alla base il rischio di riciclaggio.

Falso pedigree

Con questo caso andiamo a scavare nelle origini del fenomeno di riciclaggio legato all’arte. Precursore del traffico illecito di opere d’arte è quello legato al Mondo dei reperti archeologici. La sentenza del Tribunale di Roma n. 40402/00 R.G.N.R, n. 3553/01 R.G. G.I.P., in data 13 dicembre 2004, nel procedimento a carico di Giacomo Medici, ci offre infatti un esempio di come il riciclaggio si insinuasse già all’epoca nel mondo dei reperti archeologici. Questi ultimi venivano sottoposti ad un lavaggio a freddo – un vero e proprio lavaggio “fisico” dei reperti per cancellare le tracce sulla provenienza – con il fine di nascondere l’origine illecita ai possibili acquirenti, grazie anche all’ausilio di certificazioni false che ne permettevano la “lecita” circolazione.

Cryptoart

Un altro fenomeno che si sta diffondendo è, come detto, legato alla cripto arte in particolare agli NFT. Quest’ultimi sono l’acronimo di Non Fungible Token – gettoni digitali – archiviati tramite la tecnologia blockchain e, come suggerito dal nome,  non fungibili. Gli NFT, quindi, trasformano l’opera d’arte fisica in opera d’arte digitale. La compra-vendita dell’opera digitale è soggetta a considerevole rischio di riciclaggio. Tale rischio è legato ad una serie di fattori: l’industria fortemente lucrativa e fiorente, il prezzo volatile, l’anonimato, l’aspetto normativo ancora in fase di studio, l’acquisto e  la vendita liberi da intermediari. In un nostro articolo abbiamo portato vari esempi pratici di riciclaggio – leggi qui

Porti franchi

Un altro settore a rischio è quello relativo ai porti franchi. Per porti franchi si intendono quelle aree sottratte al regime doganale ordinario e soggette ad un regime speciale per mezzo del quale sono esentate dai dazi e dal regime di sorveglianza. Semplici spazi in cui viene, o meglio veniva – considerando che il fenomeno è stato parzialmente arginato dalla V direttiva antiriciclaggio – stoccata la merce in transito verso altri paesi. Tuttavia, questi luoghi sono divenuti ambienti confortevoli ed esclusivi all’interno dei quali, grazie al regime speciale, può svolgersi il commercio di opere che possono passare da una giurisdizione ad un’altra. Opere immagazzinate per decenni senza essere sottoposte a tassazione. Si capisce bene quindi che le zone franche sono possibile terreno fertile per dissimulare più facilmente la provenienza illecita dei beni, grazie ai particolari regimi di sorveglianza e riservatezza offerti.

La V direttiva e Porti franchi

La V direttiva interviene estendendo gli obblighi antiriciclaggio agli operatori dei porti franchi e altri soggetti del mercato dell’arte, i quali sono ora tenuti a rispettare gli obblighi di adeguata verifica della clientela. La direttiva, però, riguarda soltanto gli Stati membri dell’Ue;  pertanto, gli altri Stati, si pensi ad esempio la Svizzera, fanno riferimento ad una legislazione antiriciclaggio meno stringente. Precisiamo che gli intermediari finanziari, i cui clienti utilizzano i servizi di un porto franco, sono soggetti agli obblighi di adeguata verifica e diligenza dal momento in cui passano attraverso un intermediario finanziario domiciliato in Svizzera.

Mitigazione del rischio Mondo arte

I casi citati evidenziano l’elevato grado di criticità del settore e delle continue insidie che lo caratterizzano. Sebbene ci siano ancora delle lacune normative, ci sono degli strumenti che coloro che operano in questo settore sono chiamati ad attivare anche in relazione all’elevato grado di diligenza richiesta. Con l’obiettivo di mitigare il rischio, i soggetti obbligati alla normativa antiriciclaggio dovrebbero prestare maggiore attenzione al controllo della documentazione legata alla provenienza del bene ed alle autorizzazioni in caso di opere che debbano essere trasferite da uno Stato all’altro. A queste si aggiungono il controllo circa la qualità delle parti, il prezzo pagato ed infine la consultazione dei database contenenti informazioni relative ad opere rubate.

I database consultabili sono

lo Stolen Works of art database di Interpol; l’OCBC francese; la Banca Dati dei beni culturali illecitamente sottratti del Comando Carabinieri T.P.C; IPHAN; UNODC; WCO; Getty Provenance Index; Smithsonian Provenance Research Initiative; ICOM Red List; l’Art Loss Register; L’app ID-Art di Interpol accessibile anche da tablet e smartphones.

Jaera team

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